Salvini, la complessità del reale ed il presepe

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Gentile Salvini,
lei di recente ha sostenuto di studiare per diventare Primo Ministro.
Ce ne vorrà perché lei possa recuperare il tempo perduto, mi lasci dire.
Mi spiego meglio. Nonostante l’aria che tira, quella per cui esiste una diffidenza diffusa nei confronti degli intellettuali, è proprio la figura dell’intellettuale quella chiamata naturalmente al Governo. Soprattutto oggi. Soprattutto, cioè, in tempi di società globalizzata, società complessa e società liquida.
Si tratta di fenomeni che vanno capiti e comunque interpretati con le categorie più raffinate, non messi da parte perché troppo complessi da affrontare.
E’ pronto lei a prendere di petto questioni del genere tirando di fioretto e non di spadone? Neppure se l’Italia fosse una superpotenza economica, politica e militare potrebbe tirare di spadone, come l’America di Trump ci mostra chiaramente, in affanno come è su molti scenari internazionali. Figurarsi un’Italia in difficoltà come la nostra, che sta perdendo posizioni tra le dieci maggiori economie del mondo (qualcuno ritiene che sia già fuori dal novero della top ten).
Io credo che pensare che il problema dell’immigrazione si risolva ordinando alla flotta militare di intercettare i barconi sia ingenuo, oltreché disumano. L’immigrazione c’è perché c’è una povertà diffusa nel mondo. Si potrebbe anche dire che ad oggi, dopo il crollo del comunismo sovietico, preceduto dal crollo degli imperialismi europei, non dimentichiamolo, l’economia liberista non stia dando buona prova di sè. Sembrerebbe, cioè, che come il sistema capitalista collegato storicamente alla democrazia occidentale ha fallito quando ha provato la strada dell’imperialismo militare, considerato da Marx la sua ovvia conseguenza – ha fallito cioè sia per i popoli europei che, soprattutto, per quelli assoggettati: e ha fallito in partenza checché ne dicano i sostenitori della civiltà europea da esportare senza “se” e senza “ma” -, così ha fallito il successivo imperialismo solo (a parole) economico, che parrebbe proprio una delle due facce dell’economia liberista.
Il libero mercato contempla la possibilità che cambino gli individui che stanno sotto e che stanno sopra: ma qualcuno sopra e qualcuno sotto ci deve sempre stare. Questo è il punto. E ciò, in un’ottica nazionale, parlando di individui, di persone. Poi esiste, naturalmente, il livello degli stati, e anche qui ci deve sempre essere, secondo lo schema del libero mercato alias, oggi, economia liberista spinta, chi sta sopra e chi sta sotto (come in natura, peraltro, per carità): peccato che gli stati che devono sempre stare sopra sono quelli che fino all’altro giorno erano imperialisti militari. Non è, insomma, cambiato molto rispetto al passato. Tale discorso, ovviamente, riguarda innanzitutto il rapporto tra Europa e Africa, e non capire che l’immigrazione affonda le proprie profonde radici in questioni di sfruttamento e di violenza significa non comprendere cosa sta succedendo a sud dei nostri confini meridionali. E non capire significa non risolvere le cose.
Gli italiani non sono, oggigiorno, altamente istruiti. In media, non hanno una cultura universitaria, e neppure liceale. Sono persone che devono essere informate. Dire che l’italiano “non è stupido come si pensa” significa non dire nulla: l’italiano in media non è stupido, capirai che novità. Certo che non lo è. Ma è spesso poco informato e pigro, pigrissimo, quando si tratta di leggere un libro. Non si capisce perché l’italiano medio dovrebbe avere ragione quando nutre certe idee superficiali e sciocche sull’immigrazione. Spesso anche persone laureate non hanno il quadro chiaro, e io stesso, che mi appassiono al tema da tempo con la mia laurea in filosofia, mi rendo conto di dover cambiare puntualmente, e per gradi, la mia visione, a seconda dei libri che leggo, spesso di studiosi di fama nazionale o internazionale di scuole anche contrapposte. Si tratta, insomma, di una questione complessa, che andrebbe affrontata con grande cautela, quella che non vedo usata da lei, caro Salvini, quando ne parla.
Ed è, questo, solo uno dei problemi su cui lei pontifica in maniera superficiale e rozza. Tra l’altro, se siamo d’accordo che il primo sovranista d’Europa non è lei, ma è Macron – e lo dico senza ironia -, allora non si capisce come il peccato originale della Francia sovranista, ossia un neoimperialismo in Africa che danneggia di fatto l’Unione europea, e quindi anche l’Italia, non le apra gli occhi su chi è il nostro vero nemico, che è poi lo stesso degli africani, ossia colui che, pure in Occidente, ritiene in maniera sfacciata che l’Africa non meriti lo sviluppo di cui godiamo noi, e che vada solo sfruttata. Un’idea non solo controproducente ma pure razzista, figlia di gentaglia come De Gaulle, uno degli uomini più ipocriti e sopravvalutati della storia (come Napoleone, del resto, che pure gli era superiore di una spanna, forse per via delle sue origini italiane – faccio questa battuta volutamente, e provocatoriamente, un po’ razzista perché De Gaulle lo era a propria volta, contro l’Italia -). E’ razzista lei?
Un’altra questione è quella dei simboli religiosi, ossia cristiani, che lei si mette a baciare in pubblico da un po’ di tempo a questa parte.
Si tratta di un duplice problema.
La religione – la informo perché mi sembra un pochino digiuno di questione filosofiche – spesso uccide la spiritualità. La religione poi fa a pugni con una visione complessa della realtà. La realtà è quella cosa di cui noi parliamo senza conoscerla, c’è chi dice che il mondo non esiste perché si tratta di un complesso illimitato di cose che non sono alla nostra portata. In realtà non è neppure alla nostra portata una mela singola, nel senso che esiste quella del realista ingenuo, quella dello scienziato, chimico o fisico che sia, quella del filosofo, etc. Il fisico, ad esempio, parlerebbe di particelle subatomiche la cui esistenza in realtà è dubbia per la natura stessa della scienza. “Dubbia” nel senso che vince, la scienza, quando va avanti e mette in crisi un modello per sostituirlo con un altro che sembra funzionare meglio, e questo, parrebbe, all’infinito. Esattamente ciò che la religione non fa, la religione è felice quando può sostenere che non cambia mai nulla, che certe verità lei le ha sempre espresse, altroché. Una visione pazzesca della realtà, quella della religione, perlomeno quella delle religioni cosiddette rivelate, che più che della realtà sembrano dire degli uomini che le abbracciano senza “se” e senza “ma”, sino ad immolarsi per esse.
Lei lo sa che oggi gli scienziati – per lo meno i più avveduti – dubitano di poter mai raggiungere la verità? Jon von Neumann, forse il più grande genio scientifico universale del Novecento (Einstein è stato un grandissimo fisico, ma non era poliedrico come lui), quello che io definisco il successore nel Novecento dell’immortale Leibniz (si assomigliavano pure i due, a giudicare dalle immagini), ebbene, questo signore, questo von Neumann, esclamò “E’ finita” quando venne a conoscenza dei celebri teoremi di Godel. “E’ finita” nel senso che non è più tempo di certezze, quando si tratta di conoscenza umana. Lo sapeva questo?
Probabilmente no, perché lei è troppo impegnato a baciare crocifissi e presepi in giro per l’Italia, mi rendo conto.
Così come mi rendo conto che lei usa la religione come un elemento di esclusione, non di inclusione.
Già sarebbe grave, questo, se la religione non fosse quella cosa che ho detto, cioè una forza capace di tenere l’uomo lontano dal senso della complessità del reale. Figuriamoci nel caso opposto, quello in cui la religione si mostra per quanto misera sia.
E poi, non lo sapeva che dopo l’olocausto l’Europa ha preso a riferirsi alle radici giudaico-cristiane del continente, e non solo cristiane, per contribuire ad evitare altri progrom, mentre lei, con i suoi baci ai simboli di una sola delle due religioni rivelate sta andando a contraddire lo spirito del tempo, o per meglio dire lo spirito della storia? E glielo dice uno che non crede affatto che bisogna citare tali radici religiose: al contrario, bisogna puntare soprattutto su quelle pagane all’origine della nostra (più o meno) gloriosa storia continentale. Alle radici greco-romane in primis. Se poi dobbiamo aggiungere quelle giudaiche-cristiane facciamolo, ma con spirito critico, sottolineandone cioè la natura positiva (poca, secondo me) e quella negativa (molta, sempre secondo me), altrimenti sarebbe una sciocchezza parlarne come se fosse un tesoro da difendere, e non una forza che ha generato guerre e sofferenze immani, e non solo in Europa (guerre di religione tra europei, guerre con popoli pagani e comunque non cristiani, etc).
Ma per lei, invece, tali radici sono positive senza “se” e senza “ma”, se bacia i crocifissi con tanto trasporto. E perché lo sarebbero secondo lei? Perché nei Vangeli c’è scritto che bisogna inchinarsi al povero (alias immigrato, oggigiorno)? O perché c’è scritto che bisogna diffidare del denaro? Glielo chiedo perché anche un cristianesimo tutto orientato all’amore per il prossimo sarebbe ai miei occhi gravemente deficitario. Deficitario per il distacco totale dalla complessità del reale, distacco che impedisce ai suoi seguaci di coglierla, agendo a mo’ di cuscinetto. Figuriamoci un cristianesimo che trova la propria ragion d’essere solo e soltanto nella tradizione, ossia nella consuetudine ad essere seguito, nella consuetudine cioè di essere inculcato nella testa dei bambini destinati così a crescere meno liberi di come la grande cultura pagana, in particolare greca (con tutti i suoi limiti, ovviamente), li avrebbe voluti veder crescere. Non erano infatti i gesuiti (dalle cui fila è uscito anche l’attuale papa) a dire: “Dateci un bambino sino ai 10 anni e vi darò l’uomo”? Nel senso, evidentemente, che il bambino diverrà l’uomo (plagiato) che hanno sempre voluto. Cose di questo genere, insomma.
Ma lei è troppo occupato a baciare i crocifissi e a difendere una tradizione spesso vergognosa per capire di cosa sto parlando, o sbaglio?
Se lo ricordi, però: la tradizione è fatta di cose buone e meno buone, come la religione. E a furia di inseguire la tradizione lungo la fuga infinita dei secoli passati si potrebbero scoprire molte cose scomode. Ad esempio, che non solo la religione cristiana, ma anche la cultura greca, e quindi romana, è stata potentemente influenzata da popoli extraeuropei.
Da quelli africani, ad esempio. Molti hanno voluto vedere nella Grecia una realtà condizionata da Nord, da altre parti d’Europa. Peccato che la Grecia sia stata probabilmente influenzata soprattutto da Sud, dall’Egitto in primis, al punto che fu per molto tempo terra abitata da popoli africani.
Perché, ebbene sì, una delle culle della civiltà è stato l’Egitto, caro signor Salvini, e quindi l’Africa. Gli studiosi non hanno voluto ammetterlo, ma l’Egitto era Africa (popolato da molti neri, come nero forse è stato Gesù Cristo – attorno alla cui figura, peraltro, esistono molte questioni aperte, come forse saprà -). Siamo tutti un po’ africani, e non solo per ragioni che affondano nelle migrazioni risalenti a centinaia di migliaia di anni fa, ma a qualche decina di secolo fa.
Lei bacia un simbolo che è asiatico, e parla e riflette con categorie che vengono anche dall’Africa, insomma.
E’ per questo che bacia il crocifisso? Per quanto riesce a rappresentare? Per questo meraviglioso coacervo, cioè, di influenze originarie di almeno tre continenti diversi?

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