La comprensione dell’asino (ovvero: il “bravismo” degli italiani al voto)

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Il dado è tratto.
In realtà non si sa ancora: non si sa, cioè, se il decreto economico appena varato dal Governo, ed estremamente vario e complesso, possa aiutare davvero l’economia italiana. Se possa spingere verso un cambio di rotta. Non si sa. Si spera, ma non si sa.
E c’è già chi, ironicamente, se la prende con un progetto di crescita economica per… decreto. Magari quegli stessi nipotini di coloro che si inebriavano di fronte ai piani quinquennali di sovietica memoria, che andavano in sollucchero al solo udire tale espressione, “piano quinquennale”.
Ma si trattava di un’economia che faceva del decreto una filosofia di vita, e non una operazione da ultima spiaggia. Il decreto serve solo se nel contesto giusto, se sviluppato all’interno di un’economia programmata a tavolino dalla A alla Z.
I membri dell’attuale Governo italiano, questi dilettanti del decreto, insomma, non si debbono permettere di decretare alcunché, che il “decreto” è una cosa seria.
Intanto però loro ci hanno provato, ci provano, e il tentativo è quello di agire in modo che una crescita economica porti vantaggi al maggior numero di persone. Una pia speranza? Forse. E’ indubbio, però, che i Cinque Stelle una ventata di novità la stiano portando, e stiano difendendo una sana (…) dialettica con la Lega.
La gente non è più vista con diffidenza perché la gente è la loro ultima salvezza: non i mercati, non la crescita, non le associazioni, non la Chiesa, nulla se non la gente. Un mare magnum dove si può trovare davvero di tutto, una miriade di individui anche molto diversi tra loro, eppure capaci di esercitare assieme una pressione fortissima, quella in grado di condurre al potere.
“La gente non è stupida”, “Gli elettori sono più intelligenti di come li si dipinge”, “Gli elettori capiscono”, sono frasi ricorrenti usate per ingraziarsi gli elettori, la “grazia” dei quali nei propri confronti, pensa il politico di turno, è il modo migliore per vederla dimostrata, tale fantomatica “comprensione”. Salvo poi meritarsi la considerazione contraria quando capita che non concedano una “grazia” del genere.
Berlusconi è sempre pronto a non riconoscere l’intelligenza degli elettori, basta che non votino per lui.
Ed in effetti non si capisce perché la cosiddetta “gente”, spesso criticata in quanto composta da cittadini che evadono le tasse, che fanno male il proprio lavoro, che studiano e leggono poco, che si dicono religiosi perché così fan tutti, che si comportano spesso da pecoroni, non si capisce – dicevo – perché tali cittadini all’improvviso, nel segreto delle urne, diventino dei Mandrake di comprensione.
Quegli stessi cittadini che difendono il proprio orticello, o al massimo il proprio campanile, diventerebbero all’improvviso quelli che… capiscono. Capiscono cosa? mi verrebbe da chiedere. Cosa c’è da capire? Perché forse la prima vera domanda da porsi è questa. Da quale punto di vista si valuta la comprensione di una persona quando vota? Quali sarebbero i criteri? Il proprio tornaconto personale? Quello della sua famiglia? Quello della sua città? Quello della sua nazione? Quello dell’Unione europea? Perché è indubbio che ogni votazione riguardi le ricadute nel proprio mondo, e che perciò anche quando si vota per Bruxelles lo si faccia in vista di una ricaduta nel proprio orticello: o no?
No, a dire il vero.
Il criterio, evidentemente, è che bravo elettore risulta essere chi vota per me – pensa il politico -, con questo dimostrandosi lui in malafede, puntando su una captatio benevolentiae – quella riguardante il “bravismo” elettorale degli italiani – che, quando risultasse efficace, mostrerebbe esattamente il contrario, ossia quanto pochi bravi siano i cittadini votanti.
Ed insomma, vale il discorso che Berlusconi, uomo dai modi spicci, ha sempre difeso: il cittadino comprende quando vota lui. Non c’è bisogno di farla troppo difficile. Berlusconi non ama il pensiero complesso, che tra l’altro non porta voti: gli piace dire di essere il difensore della cultura cristiana e liberale, dimenticando che Benedetto Croce le riteneva incompatibili. Ma alla gente piace sentirsi entrambe le cose, cristiana e liberale, e questo a Berlusconi basta e avanza per portare avanti la sua posizione. Sorvola sul fatto che, soprattutto oggi, una persona dovrebbe far fatica ad essere entrambe le cose, cristiana e liberale, perché se lo è, cristiana, questo succede soprattutto in opposizione a chi cristiano non è per definizione, ossia il musulmano, e se lo è, liberale, è proprio perché non vuole sostenere una simile contrapposizione sul versante religioso.
Questo a dire quanto capisce la gente, cioè ben poco, sembrerebbe… A meno che, naturalmente, quando si parla di cultura cristiana e liberale non le si voglia tenere ben distinte, e fare appello ad elettorati diversi, ma io credo di no: credo che Berlusconi, anche per la logica stessa dei partiti, voglia parlare a degli elettori che si possano riconoscere, chi più chi meno, in una tale duplice definizione che sa di nobiltà, per non dire di mito.
In Italia un cristiano pronto allo scontro per motivi religiosi ama autoconsiderarsi liberale, quasiché sia, la cultura liberale, fondata su quella cattolica, e sulla sua tolleranza, e non il contrario. Per chi scrive, infatti, se la cultura cristiana è oggi meno drastica di quella musulmana è proprio perché ha dovuto fare i conti con il pensiero liberale. Un cristiano che vuole fare la guerra ad un musulmano la fa in nome dell’intolleranza religiosa, non in nome della tolleranza che dice di veder minacciata.
In generale, la gente non cambia ideologia quando ce l’ha. Per questo l’elettore più colto, con una visione articolata della realtà fa più fatica – pare – a cambiare il partito da votare. Ma questo significa capire più dell’altro che lo cambia? Non si è sempre detto che solo gli stupidi non mutano idea?
La gente, poi, è fatta in un certo modo: essa, complice un fenomeno di identificazione, non ama che si prenda di mira una persona con l’accusa che non capisca. L’accusa di ignoranza non viene quasi mai guardata con simpatia da un popolo fatto in gran parte di asini come quello italiano.
In questo senso si può dire che quanto più verranno attaccati dagli altri (non tanto, o non solo, dai partiti di opposizione quanto dai grandi organismi internazionali) tanto più i membri del nostro Governo in carica potranno contare sulla simpatia e il sostegno di tanti italiani che nella parte degli asini si ritrovano e, identificandosi, si sentono chiamati in causa per ribellarsi a favore proprio ed altrui, cioè di chi li rappresenta doppiamente, come politici e come asini (al Governo).
La comprensione dell’asino, insomma, è quanto di più vicino ci sia alla fantomatica “comprensione” dell’elettore italiano di cui tanto amano parlare i nostri politici prima di ogni elezione.

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