Il mondo non basta? Come si sbaglia, caro 007 britannico (e questo anche a causa del suo stramaledetto Paese – con affetto parlando -)!

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Trump ha scritto che lui, “nella sua enorme saggezza”, deciderà come comportarsi con la Turchia, dopo aver in concreto autorizzato Erdogan a fare quello che sta facendo coi curdi.
Non ci dimentichiamo che il signor Erdogan è ancora sotto osservazione rispetto ad un colpo di Stato che è sembrato a molti telecomandato, e che ha mostrato un atteggiamento perlomeno ondivago nei confronti dell’Isis. Un signore, Erdogan, secondo alcuni commentatori in odore di appropriazione indebita di risorse dello Stato (e di aiuti internazionali), sebbene paia che il ceto medio conservatore musulmano turco preferisca un ladro al potere che un uomo debole, incapace di usare il pugno di ferro quando sia il caso.
Ecco, ora Erdogan il pugno di ferro lo sta usando, con il conseguente armamentario retorico: i curdi equiparati ai terroristi, ohibò!
I curdi, cioè quanto di più vicino ci sia alla migliore cultura occidentale in quella martoriata zona del mondo, per una questione di valori, idee e mentalità.Come gli israeliani, diretta emanazione dell’Europa (nel bene e nel male, sia chiaro), i curdi sono uno specchio in cui guardarci, e in cui il musulmano conservatore (a parole) Erdogan, desideroso da sempre di smantellare lo stato laico di Ataturk, non vuole assolutamente rispecchiarsi. Lui appartiene ad una cultura seguendo la quale, evidentemente, non si è abituati a fare autocritica, a partire da quella auspicabile, e addirittura sacrosanta, riguardante il genocidio armeno, che i turchi considerano una montatura. Una montatura! Ebbene, Erdogan incarna benissimo una simile posizione. Niente autocritica, insomma, bensì strenua difesa del moralismo religioso e della religione nel suo insieme, religione intesa, sia chiaro, come instrumentum regni e nulla più.
Ma arriviamo al dunque. Erdogan ha l’esercito più grande della Nato dopo quello statunitense. E’ ovvio che riuscirà a piegare le milizie curde. Peccato, però: se Erdogan avesse impiegato contro l’Isis metà della tenacia usata ora contro i curdi molti problemi coi feroci tagliagole non sarebbero neppure nati.
E allora, chi è che vuole parlare chiaro col nuovo Sultano di Ankara – ormai parecchio bolso nonostante il suo passato da calciatore (quello da calciatore è un passato che lo accomuna ad un altro personaggio illiberale ben noto, e quasi altrettanto bolso, l’ungherese Orban) -? Il quale si permette pure di minacciare l’Europa, dicendo di essere capace di inondarla di profughi siriani se osa mettere becco sull’invasione, e questo mentre fa altre discutibilissime manovre laterali, come quella di inviare navi-piattaforme per l’estrazione del petrolio in aree marine dove, parrebbe, non dovrebbero stare, cercando lo scontro aperto con compagnie occidentali come Eni e Total (e quindi con Italia e Francia: e non a caso quest’ultima è impegnata da giovedì a convocare il Consiglio di sicurezza contro Ankara).
Erdogan, insomma, non sa cosa sia la vergogna, e continua a manovrare come se niente fosse: l’unico che gli incuta davvero paura, anche per la sua imprevedibilità, è Trump, il quale ha fatto un passo indietro dopo l’iniziale semaforo verde all’invasione, e ha minacciato una seconda tempesta finanziaria contro la Turchia se Erdogan esagererà coi curdi: che poi cosa significhi una frase del genere lo sa solo lui, il Donald planetario. La guerra è la guerra, e Trump ha sbagliato a permettere al Sultano di iniziarla spostando le truppe americane che facevano da cuscinetto tra i turchi e  i curdi: senonché il suo più forte alleato nel partito repubblicano contro l’impeachment democratico, il senatore Graham, gli ha fatto capire forte e chiaro di non aver affatto gradito un simile improvviso voltafaccia nei confronti degli alleati curdi, preziosissimi per vincere contro i gentiluomini dell’Isis.
Trump è stato quindi costretto a difendersi anche contro il fuoco amico, a salvarsi in corner, e ha parlato, di conseguenza, di ennesima promessa mantenuta, ossia di ragazzi americani richiamati dal fronte, per aggiungere che lui in eterne guerre tribali non vuole impantanarsi, al contrario dei suoi sciocchi predecessori.
La guerra tra Turchia e curdi una guerra tribale? Una definizione per lo meno dubbia. E che richiama innanzitutto altre profonde considerazioni dell’Intellettuale Planetario, del Genio della Casa Bianca, considerazioni altrettanto eleganti, quella ad esempio sui “Paesi di m…” da cui provengono gran parte degli attuali migranti di colore verso gli Usa, a cui lui preferirebbe di gran lunga i norvegesi, che invece hanno il grave torto di voler rimanere a casa loro (anche perché, aggiunge chi scrive, il reddito pro capite del Paese nordico è nettamente più alto di quello americano: forse Trump non se ne è accorto, giocando come fa ad essere Dio – e quindi a ritenere gli Stati Uniti un paradiso in terra sognato per definizione da tutti, ricchi e poveri senza distinzioni -).
Ma questo primo scenario raccapricciante, dove Erdogan gioca col fuoco per recuperare – pare – un po’ di consenso dopo la batosta presa alle elezioni comunali di Istanbul, la sua città, fa il paio con altri ugualmente problematici, a dire il vero.
Un esempio? Un grande nemico della Turchia, il principe saudita Mohammad Bin Salman, ha rilasciato di recente una intervista ad una emittente televisiva statunitense in cui ha sostenuto che lui non è stato il mandante dell’omicidio del giornalista Khassoggi, che lui anzi non ne sapeva nulla, per carità. Del resto come pensare il contrario? I dipendenti dello Stato saudita sono oltre tre milioni – ha sostenuto il cosiddetto principe – , e nessuno si aspetta che ognuno di tali impiegati lo informi su cosa fa. Questa è stata la sua brillante difesa di fronte alla giornalista americana. Eppure… Eppure non sarebbe stato difficile ribattere ad una considerazione tanto sciocca. Io, ad esempio, ho subito pensato che non tutti i tre milioni di dipendenti pubblici hanno avuto il compito di ammazzare un noto giornalista di una nota famiglia, con il doppio passaporto saudita e americano per di più: e che perciò i sicari che l’hanno dovuto sbrigare, tale compito, avrebbero avuto eccome una buona ragione per informarlo, il loro caro principe. Principe che, di fatto, hanno informato, secondo chi scrive, altroché!
Eppure questo signore, probabile mandante di un omicidio tanto efferato, e che si trova col padre – non dimentichiamolo – a capo di una delle dittature più feroci del mondo, non deve temere nulla, tanto meno di venire arrestato fuori dai confini nazionali. Nel frattempo il padre-re, per precauzione nei confronti del mondo che li stava, e li sta, osservando, lo ha  sollevato da alcuni incarichi. Quisquilie per uno che probabilmente in uno stato normale sarebbe stato condannato per lo meno all’ergastolo. Ma così va il mondo, soprattutto in uno a trazione americana, dove l’Arabia saudita non va toccata sino a quando rimane un alleato fedele di Washington, nonché un ottimo cliente di armi statunitensi – di recente per un valore di ben 200 miliardi di dollari! -. Quelle stesse armi che Trump cerca di vendere in qualsiasi occasione, anche a noi italiani presi tra i due fuochi degli F35 e dei dazi, considerato che l’economia americana è innanzitutto fondata – lo dico per chi non lo sapesse – sull’apparato industriale-militare, e non può tollerare la sfida sempre più sfacciata, per Washington, lanciata da Mosca, anche grazie all’ultimo gioiello di Putin, un missile talmente veloce da non poter essere individuato dai radar.
Un secondo scenario? Quello sviluppato da Boris Jonhson che, a parere mio, imbevuto come è di letture dei classici latini, le sta usando per gestire la Brexit, in questo volendo sembrare un po’ il Cincinnato della situazione, o il Furio Camillo, ma anche, e soprattutto, il Churchill, con cui condivide l’aspetto, la mascella, la postura e la stazza, e anche la situazione di grave crisi chiamato a gestire, e come il Winston nazionale vuole sembrare all’altezza della situazione. La Brexit un po’ come la Seconda Guerra Mondiale, insomma: con la differenza che qua si tratta di uscire, là di entrare (nel conflitto). Il punto vero è che i britannici, col loro voto, hanno dimostrato di stare fuori dal mondo, in realtà, e di essere troppo sensibili al pericolo di un’invasione che non è tanto quella da parte di altri europei, quanto quella degli extraeuropei. Infatti, se è vero che nessun popolo extraeuropeo ha mai provato a invadere la Gran Bretagna, è vero che la Gran Bretagna ha soggiogato molti popoli fuori dall’Europa, il contatto coi quali desidera ora evitare, se questo significa essere occupati da loro e non occuparli. E’ la dimensione stessa dell’invasione quella a cui i britannici sono particolarmente sensibili: più di altri popoli europei, insomma.
Terzo scenario: Berlusconi che dice in pubblico di aver sdoganato leghisti e fascisti, ohibò…
Una frase infelice, la sua (l’ennesima), tenuto conto che egli si è sempre definito liberale. Un liberale che sdogana i fascisti? Ma, caro signor Berlusconi, un liberale i fascisti li combatte, non li sdogana, e tanto meno li fa entrare nel circuito della politica italiana, non lo sapeva? Ora lei rimpiange di averlo fatto? Forse sì, ma solo per un istante, durante un suo intervento pubblico, perché nel frattempo ha ripreso a incontrarli, leghisti e, soprattutto, (neo)fascisti. Non si vergogna? Dovrebbe, secondo me… Anche perché  se c’è un pericolo all’orizzonte, allora bisogna cambiare strada. E il pericolo sa qual è? Che a forza di passettini verso destra (quella estrema) alla fine si precipita nel baratro. Prima la Lega era, nella persona di Bossi, antifascista. Ora Salvini non riesce a dire di esserlo, antifascista, anzi è tutto contento di poter annoverare tra i propri sostenitori i signori di Casa Pound, che saranno anche “un filo meno peggio” di quelli di Forza Nuova, ma sempre dichiaratamente neofascisti sono (e quindi peggiori della Meloni degli ultimi tempi, agli occhi di chi scrive). I signori, cioè, di cui Salvini porta le magliette, e dei quali usa la casa  editrice per i suoi libercoli.
Proprio con questa gente si vuole alleare, caro signor Berlusconi? Ripeto, veda lei…

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