Come riusciremo a sbarazzarci del capo del Cremlino?

E’ da anni che scrivo saltuariamente ma con passione di Putin. 

Da addetto stampa, ho seguito alcuni grandi dissidenti russi giunti a Milano a partire dal lontano 2007, compreso Boris Nemtsov di cui si è commemorata la morte il 27 febbraio. Nelle conversazioni con loro, come dai loro libri, era sempre uscito fuori il tema del carattere del dittatore di Mosca, in quanto elemento importante per spiegare molto sue scelte scellerate. Ovviamente, non solo numerosi politici digiuni di cultura internazionale, ma anche molti uomini di cultura italiani sono spesso sembrati lontani, per anni, dal comprendere quanto aspetti non solo razionali ma pure irrazionali ed egoistici determinassero le azioni del cosiddetto “bullo di Mosca”.

Ora che anche gli irriducibili dovrebbero aver aperto gli occhi – almeno si spera -, passiamo ad esaminare alcune questioni sul tavolo in questi giorni.

Putin è isolato e sta ottenendo il sostegno dei soliti “alleati”: il dittatore bielorusso Lukashenko, quello nordcoreano Kim Jong-Un e, solo in parte, quello cinese, Xi Jinping, irritato con Putin per vari motivi. Mi chiedo quando arriverà il sostegno degli ayatollah e dei talebani. Lukashenko è una marionetta nelle mani di Putin: qualcuno ricorderà che, messo alle strette di recente dalle rivolte popolari, fu sostenuto da un intervento militare russo e imposto alla popolazione. Questo solo fatto conduce ad una ulteriore riflessione.

Ci sono stati momenti in cui i rapporti tra Minsk e Mosca non sono stati ottimi. Ma Putin offre la sua amicizia per calcolo, naturalmente, e una Bielorussia proiettata verso la democrazia al capo del Cremlino non piaceva e non piace. E sono proprio i fattacci bielorussi a illuminare la questione Ucraina. Si sostiene spesso che Putin abbia invaso l’Ucraina perché Kiev intendeva entrare nella Nato. Io invece penso che, come il caso bielorusso dimostra, egli non ami avere dei paesi democratici ai propri confini, e non li ami soprattutto se facevano parte dell’ex Unione sovietica, e mostrano che nonostante o appunto per questo possono aspirare a diventare delle vere e solide democrazie. 

Un paese ex sovietico che diviene davvero democratico è un simbolo pericoloso per la politica di Putin, il quale desidera esattamente il contrario. Ed insomma, la Russia di Putin accetta solo paesi “fintamente democratici” ai propri confini, il che significa filorussi, essendo la Russia la prima “finta democrazia” della regione. Tanto più finta se si pensa che, secondo molti, Putin intende far rinascere in qualche modo il vecchio impero russo.

E quindi il capo del Cremlino non è diventato nemico dell’Ucraina quando essa ha voluto diventare membro della Nato, questa è stata una conseguenza, se non addirittura un pretesto. Infatti, io temo che egli sia diventato nemico dell’Ucraina già dai tempi in cui Kiev diceva di voler entrare nell’Unione europea. E’ vero che i russi sostengono di no, ma quante volte i russi hanno mentito; la menzogna curata ad arte fa parte della loro diplomazia di stampo sovietico, come quando hanno sostenuto che non avrebbero fatto strage di civili ed invece è proprio quello che sta succedendo nella guerra in corso. 

Ed insomma, l’Ucraina è diventata un problema da quando a Kiev non ci sono presidenti sul libro paga del Cremlino e ha rivendicato la propria autonomia da Mosca: del resto, non si sono innescati proprio da allora, dalla cacciata dall’Ucraina dei politici-marionette di Putin, i ben noti fattacci della Crimea e del Donbass?

Detto questo, è vero, ripeto, che un paese ex sovietico che diventa democratico può chiedere di entrare nella Nato e quindi rappresentare un problema ulteriore per la Russia, ma, anche qui, le premesse secondo me vanno capovolte. 

Se questo succede, se un paese chiede di aderire alla Nato, è perché esso intende difendersi in anticipo dal proprio ingombrante e potente vicino, non certo perché intende attaccarlo; se questo succede è perché, insomma, la Russia ha mantenuto e sviluppato un’atmosfera per blocchi, da “guerra fredda”, nonostante non ve ne fossero i presupposti ideologici da quando è caduto il Muro di Berlino. 

Non ci sarebbero stati, i presupposti ideologici dico, se non fosse che nel corso degli anni la Russia di Putin ha conosciuto una involuzione democratica, è diventata sempre meno affidabile e amichevole rispetto a quella di Eltsin, e quindi più pericolosa e imprevedibile, impegnata come è stata, ed è, ad inseguire una logica di predominio imperialistico di stampo nazionalista. E’ stata essa, insomma, a mettere se stessa nelle condizioni di provare qualche timore, a questo punto legittimo solo a metà, nei confronti della Nato, con cui – ed è questo il punto – avrebbe potuto sviluppare tutt’altro tipo di rapporto. 

Quindi capovolgerei un pericoloso assunto che gira in questi giorni. La guerra odierna non è determinata tanto dalla paura di Mosca nei confronti di Kiev-partner politico e militare degli occidentali, ma da quella di Kiev nei confronti di Mosca. E questo perché la Russia, ripeto, è diventata, nelle mani di Putin, non un paese orientato ad una maggiore libertà e ad una crescita economica figlia del libero mercato, bensì un paese sempre più dittatoriale e in balia degli oligopoli che il mercato azzoppano, ma che arricchiscono chi in fondo della loro filiera sta: ossia gli oligarchi e, secondo molti, il loro capo supremo, Vladimir Putin. 

E quindi tutti coloro che dicono di capire le paure di Putin rispetto ad una possibile entrata di Kiev nella Nato si sono persi tutta la prima parte del presente ragionamento, quello sul perché tale aspirazione ucraina sia nata e si sia rafforzata nel tempo; e dire che è stata proprio Kiev, in accordo con Mosca, Washington e Londra nel 1994, a decidere di lasciare la parte dell’arsenale nucleare ex sovietico sul suo territorio (quasi 5000 testate) nella mani della sola Russia a patto, evidentemente, di non essere mai aggredita (e purtroppo solo oggi vediamo quanto tale decisione fosse priva di lungimiranza). 

Ragionamento, quello sul perché Kiev non si fidi di Mosca al punto da voler entrare nella Nato, che tra l’altro include, almeno lateralmente, anche la questione dei conti esteri di Putin e del suo ministro Lavrov bloccati dalle sanzioni occidentali, di cui si è parlato di recente sui mass media occidentali. Conti esteri l’esistenza dei quali è stata subito negata dal Cremlino, naturalmente. Come mettere in dubbio, infatti, che Putin abbia sempre e solo lavorato non per il proprio tornaconto personale bensì per il bene dei russi, come la guerra in Ucraina mostra ampiamente? E il fatto che se ne inizi a parlare con insistenza potrebbe essere una delle ragioni per cui Putin stia perdendo la testa, al punto da minacciare una guerra nucleare. Che direbbe infatti la sua base elettorale, il suo popolo, se sapesse che il campione della grandezza russa è in realtà un ladro?

A questo punto temo che abbia ragione chi afferma che, a parte una cocente sconfitta sul campo dell’armata di Putin – ancora tutta da verificare sebbene potrebbero aiutare azioni di guerriglia

 – o un’azione particolarmente efficace delle sanzioni economiche, la differenza la faranno solo e soltanto le azioni provenienti dall’interno della Russia, essendo essa una superpotenza nucleare e quindi, di fatto, inattaccabile dalle nazioni occidentali: che siano gli oligarchi, l’esercito (al netto di certi pessimi comportamenti mostrati in Ucraina in questi giorni) o, appunto, il popolo, oppure una sinergia di almeno due di tali soggetti – con una formula, però, piuttosto complicata da immaginare -, è importante a questo punto che qualcuno riesca a fare quanto è necessario, ossia sbarazzarsi del capo del Cremlino, e questo per il bene della Russia e del mondo intero. 

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