La vera forza di Putin e della sua Russia-Frankestein

Premessa

Col presente lungo articolo sostengo che la guerra in corso ha sottolineato più la debolezza che la forza del regime di Putin.

Sostengo inoltre che se è vero che il dittatore di Mosca può usare l’atomica “tattica” (per inviare un messaggio chiaro anche all’Occidente), come ho affermato io stesso dall’inizio del conflitto nei miei video e nei miei articoli, è anche vero che in uno scenario in continuo movimento come l’attuale è troppo presto per consigliare agli ucraini di arrendersi, con l’atteggiamento di chi, da accademico di professione, preferisce la semplicità delle idee, ma anche la loro spigolosità, alla complessità del reale.

Sostengo infine da tempo che l’esercito di Putin è ben lontano dall’essere una macchina da guerra invincibile, e che affermando il contrario ci si allontana dal vero punto della questione. Quale? L’oscena corruzione del sistema putiniano, che è non solo alla base di un esercito depauperato delle risorse necessarie per vincere con facilità un avversario molto più modesto sulla carta, ma è all’origine della scelta di scatenare una guerra che non era in realtà – si badi bene – negli interessi nazionali del paese se la Russia fosse diventata avanzata e moderna, ma solo del regime del Cremlino (probabilmente per un calcolo sbagliato).

Il Cremlino di Putin, infatti, è riuscito a generare a furia di violenza e propaganda quella che io definisco una Russia-Frankestein, una Russia burattino nelle mani di una persona e del suo regime. Una Russia, cioè, che mi auguro sparisca almeno in parte con la caduta del dittatore di Mosca.

Ed insomma, chi esalta l’esercito di Mosca fa un favore al capo del Cremlino perché perde di vista una realtà scomoda per quest’ultimo, ossia la penosa situazione non solo dell’esercito ma pure della società russi nel suo complesso da quando lui è al governo, e, di fatto, rischia di rafforzare (senza volerlo, per carità!) il suo regime, la sua corruzione e le sue menzogne portate avanti con metodo scientifico.

Affermare oggi che anche la Russia aveva le sue ragioni e che non è tutta colpa sua se si è arrivati alla guerra, significa dire che ad averle, tali ragioni, è la Russia Frankestein di Putin, non la Russia che sarebbe potuta essere con un successore ancora più degno di Eltsin: e non mi pare che sia questo il modo migliore di capire davvero le cose, e di difendere non solo gli interessi dell’Occidente ma del mondo intero, a partire proprio da quella Russia che aspetta ancora di svilupparsi, che aspetta la sua riscossa democratica e la sua entrata nel mondo dei paesi civili dopo essersi sbarazzata una volta per tutte di un regime che fa solo i propri interessi. 

Prova ne è, tra le altre, il sospetto di ricchezze da re Mida di Putin, il fatto che si associ uno yacht da 700 milioni di dollari che gira per il Mediterraneo a lui che guadagna come presidente della Russia sui 120.000 dollari all’anno. Ed è solo uno yacht, è solo la punta dell’iceberg cioè di un sistema che è penetrato nella società russa come un cancro ormai degenerato in una serie innumerevole di metastasi. Se la Russia non è un mostro è un malato terminale che ne ha fatte di tutti i colori, a partire dal lavaggio del cervello del popolo russo (già ben predisposto di suo, peraltro, per i motivi che dirò), e che è tenuto vivo con i tubi degli idrocarburi. E’ venuta l’ora di avere il coraggio di dire che questi tubi vanno staccati, e che la natura deve fare il suo corso.   

Punto primo

Perde di vista il punto centrale anche chi sostiene che è pure colpa della Nato se la Russia ha attaccato l’Ucraina. Per due motivi. 

Primo, perché dopo il crollo del comunismo la Russia non avrebbe più avuto interesse a prolungare la politica della tensione e della contrapposizione ideologica per blocchi con l’Occidente, come aveva capito Eltsin, cercando di comportarsi di conseguenza in modo progressivo. Putin ha ripreso invece tale politica dei blocchi contrapposti per ragioni a cui accennerò, e che nulla hanno a che vedere con gli interessi nazionali della Russia. Ma anche quando si è ricreato tale sistema di contrapposizione (a torto, ripeto), l’espansione della Nato verso Mosca faceva di certo gli interessi degli Usa, che nella Nato hanno sempre trovato un mercato florido per le loro armi nonché dei vantaggi geopolitici, ma non era sostenuta con la forza dagli americani ai danni dei vari candidati. 

Ed anzi, la Russia di Putin si sarebbe dovuta chiedere perché molti paesi dell’ex Patto di Varsavia non hanno guardato ad essa non solo per un’alleanza militare ma anche economica, esistendo pure un mercato comune tra ex repubbliche sovietiche in contrapposizione con quello dell’Unione europea (questo a dire che vi era, e vi è tuttora, una rivalità economica, non solo militare, tra Mosca e Occidente, soprattutto quello che faceva e fa capo a Bruxelles). La risposta è che la Russia di Putin non era allettante per nessuno, soprattutto se il confronto era con la Ue: la Russia era anzi diventata pericolosamente imperialista e liberticida dopo la (lunga) “parentesi Eltsin”, che aveva fornito qualche speranza e motivo di fiducia a Kiev per Mosca sino a quando c’è stato lui al potere, nonché incapace di garantire uno sviluppo economico ai suoi alleati, oltreché a se stessa (perché è questo il punto). 

Era responsabilità di Kiev, Bucarest, Tallinn o Vilnius (o anche di Washington o Bruxelles) se la Russia di Putin non garantiva prosperità ma solo pericoli e minacce? 

Se anche ci sono state responsabilità occidentali e scelte sbagliate nei modi e nei tempi dei rapporti con Mosca nel lungo periodo di transizione che l’ha caratterizzata, ebbene, si tratta di poca cosa rispetto alle responsabilità di Putin, il quale ha sempre avuto un solo obiettivo (in tre fasi) chiaro in testa: 1) come impadronirsi del potere in Russia, 2) come far ridiventare il paese de facto una dittatura e 3) come mantenere un simile potere nel tempo. Sostenere che l’Occidente ha sfidato la Russia di Putin con l’espansione della Nato significa legittimare una Russia del genere, una Russia, cioè, che si sente – ohibò – “sfidata” da dei paese nel gruppo dei quali si sarebbe dovuta e si dovrebbe trovare da tempo, e in cui è stata essa a non voler entrare: una Russia insomma antidemocratica che non sarebbe mai dovuta nascere se si fosse perseguita la politica non di Putin ma del suo predecessore nonché (ingenuo) mèntore, Eltsin. 

Di conseguenza, ogni parola di critica nei confronti dell’Occidente, quando si parla di questa Russia-Frankestein di Putin, rischia di diventare una legittimazione non della Russia, ma del regime che l’ha resa il mostro che è oggi nelle mani del capo del Cremlino. 

Punto secondo

Oggi si dice che nessuno in Russia aveva parlato di una spedizione veloce, di una guerra lampo. 

Per quanto mi riguarda, io non ho mai detto che Putin e la sua propaganda abbiano sostenuto una cosa del genere, in modo da mettersi nei guai con le proprie mani se non fosse accaduto. 

No, questa è l’ipotesi di alcuni analisti, per i quali secondo Putin Zelensky era un debole e un vigliacco pronto ad abbandonare il paese al primo colpo di cannone. Una prova? Le scarse forniture di viveri per l’esercito russo, sufficienti, pare, solo per pochi giorni. 

Ed insomma, probabilmente Putin ha imprestato a Zelensky la sua mentalità da vigliacco e da opportunista, se i suddetti analisti hanno avuto ragione.

Qualora le modestissime forniture di cibo, invece, fossero state una conseguenza della cattiva organizzazione dell’esercito russo, ebbene, questo ci porterebbe al secondo problema del presente articolo, ossia quella sulla effettiva capacità dell’esercito di Putin di organizzare un’invasione su larga scala. 

C’è chi (il professor Orsini) sostiene in televisione – dopo aver ripetuto per giorni, però, che la Russia poteva “sventrare” l’Ucraina – che le truppe di Mosca potrebbero incontrare, per un motivo o per un altro, delle serie difficoltà a vincere la resistenza di Kiev; per cui il rischio di utilizzo di armi nucleari da parte di Putin è diventato tragicamente credibile, quasi certo, al punto che l’Ucraina è, di fatto, spacciata in un modo o nell’altro (ed è quindi meglio consigliare agli ucraini di arrendersi perché è preferibile essere prigionieri da vivi che liberi da morti); c’è chi sostiene poi che la Russia stia usando solo un decimo del suo potenziale (i giornalisti Quirico e Innaro) e che la Russia sia ben lontana, però, dall’utilizzo dalla bomba atomica non essendo a rischio, con la guerra presente, la sua sopravvivenza (Innaro). Entrambi, Quirico e Innaro, si chiedono poi perché non aver ascoltato, da parte dell’Occidente, le obiezioni russe rispetto alle sfere d’influenza e le (legittime?) richieste di Mosca di non permettere all’Ucraina di entrare nella Nato. 

Ma questo ci riporta alla premessa iniziale, che cioè non si sarebbero dovute ricreare delle sfere d’influenza Occidente-Russia perché questa è stata una scelta unicamente di Mosca, una scelta, ribadisco, che ha fatto il gioco non della Russia, ma del regime di Putin, e il regime di Putin – occorre sottolinearlo ancora una volta – non è (e non è mai stato!) una benedizione per la Russia, tutt’altro. Secondo me, se non si parte da tale premessa non si capisce tutto il resto.

Ed insomma, la prima vittima di Putin non è l’Ucraina (o la Georgia, o la Cecenia, etc) ma la Russia stessa.  

Ritengo inoltre che l’esercito russo sia più mediocre di quanto non si creda (produrre alcune – e solo alcune – armi eccellenti, infatti, non significa fornirle al proprio esercito ma a chi è in grado di comprarle con valuta pregiata in giro per il mondo) e temo, come ho già detto e scritto tempo fa, che Putin possa scegliere ad un certo punto di usare un’atomica tattica. 

Il punto è che il capo del Cremlino non è da solo, che esiste un regime, che l’uso della bomba atomica renderebbe la Russia un paria agli occhi perlomeno dell’Occidente. Può la Russia permettersi uno scenario simile? E’ disponibile sul serio a legarsi mani e piedi alla Cina, ossia un’avversaria a pieno titolo sino a qualche tempo fa? Davvero l’India può rappresentare un mercato sostitutivo per gli idrocarburi di Mosca rispetto a quello europeo, ben più ricco? Quello che voglio dire è che esiste uno scenario in continuo movimento, dove la Cina, che è la vera potenza economica contrapposta all’Occidente, prova  a capire sin dove sia davvero disposto a spingersi quest’ultimo. Che poi si possa creare un’alleanza a tre, Russia-Cina-India, in chiave antioccidentale lo trovo difficile non solo perché Cina e India sono da sempre avversarie, ma perché la seconda è pure una democrazia, la più popolosa del mondo. 

Alcuni, ad esempio, potrebbero chiedersi se, a fronte di un aiuto economico diretto o anche indiretto della Cina alla Russia, l’Occidente non possa iniziare a colpire Pechino con devastanti sanzioni – anche volentieri, aggiungerei, soprattutto dalle parti di Washington – e se questo possa fare più male alle potenze occidentali o al gigante asiatico. Quali sono, insomma, i fattori in gioco? Si è davvero arrivati ad una resa dei conti tra Occidente e Cina, al punto che quest’ultima è convinta di poter rischiare i suoi traffici con i membri del G7 e i loro alleati? E qual è il ruolo degli Usa in tutto ciò? Il sospetto che con una guerra lunga e aspra nel cuore dell’Europa Washington voglia/possa dare un colpo al cerchio europeo (cosa utile anche per l’Inghilterra della Brexit, naturalmente) e uno alla botte cinese non è così peregrino (tenere al guinzaglio l’Europa è un obiettivo americano soprattutto in chiave anticinese: infatti, è da quando Pechino ha iniziato a dare un gran peso al Vecchio continente che l’America ha ripreso a fare lo stesso). E se gli europei del continente lo nutrono legittimamente, tale sospetto di imperialismo americano di ritorno, pensiamo davvero che i cinesi siano così ingenui da non farlo a propria volta? 

Del resto, se Putin non vuole parlare con Zelensky, come sostiene Quirico, bensì con chi conta davvero, ossia l’inquilino della Casa bianca, la Cina vuole davvero – mi si perdoni la parafrasi – parlare con Putin? Conta davvero così tanto Putin agli occhi di Pechino se non ci fossero gli Usa (e l’Occidente) come reale obiettivo? 

Punto terzo

Perché il nocciolo della questione è proprio questo. La Russia di Putin ha continuato a voler giocare a fare l’Urss senza averne la forza né territoriale, né demografica, né economica, né militare, né tantomeno, ebbene sì, filosofica. Ha voluto continuare la politica della tensione senza che ve ne fossero più i presupposti ideologici dopo il crollo del comunismo. 

Perché? Perché così Putin avrebbe sfruttato l’ideologia “del nemico alle porte” come “instrumentum regni” per governare e schiacciare il dissenso di gente come Navalny: come isntrumentum regni, dopotutto, è l’uso spregiudicato della religione stessa (del resto addirittura il metropolita Kirill è, parrebbe, in odore più di Kgb che di grande spiritualità). La Russia diventata democratica e capitalista avrebbe potuto inaugurare un nuovo tipo di rapporti con l’Occidente a cui aveva iniziato ad assomigliare con Eltsin: un cambiamento quindi era possibile, per quanto difficile, considerata la scarsa cultura democratica del popolo russo dopo il lunghissimo passato zarista e sovietico. 

Una scarsa cultura democratica che Putin ha invece voluto subito rafforzare e sfruttare nell’interesse certo non della Russia, bensì solo e soltanto suo e del regime su cui fonda il proprio potere personale. Ogni altra considerazione sulla politica della Russia dal 2000 in poi e sulla guerra deve partire, io credo, da tale, ineludibile premessa.

Un regime assetato di denaro, il suo, via via che il prezzo degli idrocarburi aumentava, come spiega molto bene il grande dissidente Nemtsov ucciso nel 2015 vicino al Cremlino in uno dei suoi libri: denaro che quindi non andava “sprecato” per altri soggetti, compreso l’esercito, dove vige da sempre non solo uno stato di prevaricazione e di corruzione, ma uno stato di relativo abbandono. Putin ha venduto le armi migliori, più moderne e costose (che certamente la Russia è in grado di produrre), all’estero, per una questione non solo di valuta pregiata ma di influenza geopolitica. L’esercito russo, invece, è più di quantità che di qualità, come gli analisti sanno. I “gioielli della corona” vengono usati più per mostrare i muscoli che per una rappresentazione realistica della situazione militare di Mosca. Un esempio? I costosi Sukhoi 34 utilizzati nel conflitto attuale sono ottimi aerei che però non usano i missili teleguidati perché troppo cari. I T72 sono al massimo una versione ammodernata di ottimi carri armati, sì, ma degli anni Settanta e Ottanta (dopo la dissoluzione dell’Urss è stato sviluppato un unico carro armato russo, il T14). La Russia voleva e vorrebbe fare la super potenza contro gli Usa con un’economia più piccola di quella della Francia (il rapporto col pil americano è di almeno uno a dieci – dieci a uno! – pur essendo i russi solo poco meno della metà della popolazione statunitense, non dieci volte meno), e se anche la sua pretesa fosse solo e soltanto sul piano militare, come sostiene Quirico, la Russia si potrebbe considerare tale con un esercito come quello descritto prima? L’esercito russo non è neppure lontanamente paragonabile a quello degli Usa, se rimaniamo sul piano delle forze convenzionali (e a parità numerica): non lo è neppure di quello della Francia o del Regno Unito, e forse neppure dell’Italia, dal punto di vista qualitativo. 

Punto quarto

Non è neanche vero che Putin stia usando un decimo delle sue forze: se si riconosce che siano almeno 200.000 gli uomini utilizzati in territorio ucraino (alcuni sostengono più di duecentocinquantamila), e gli effettivi totali 900.000, stiamo parlando di almeno un quarto delle forze dell’intera armata di terra, aria e acqua. Bisogna ricordare, poi, che più si aumenta la quantità delle forze sul campo in Ucraina più si innalza quello dei costi, più si spinge le potenze occidentali a emettere sanzioni, col rischio per  Putin di non poter più pagare gli stipendi ai membri del suo regime fatto di burocrazia e di forze di sicurezza compreso l’esercito, in un complesso gioco di equilibri che può celarne altri. Quali? Quello, ad esempio, dei rapporti e delle varie posizioni al Cremlino oggi, anche rispetto all’uso dell’atomica in caso di difficoltà sul campo di battaglia per Putin (gli obiettivi del quale possono a loro volta cambiare in continuazione, ed anzi sono già cambiati). 

Perché, ebbene sì, torniamo sempre lì, all’atomica, che è l’unico motivo per cui la Russia viene considerata una super potenza militare. E cioè, non per le molte, troppe vecchie armi convenzionali in dotazione all’esercito russo, e le poche (in proporzione) nuove, ma solo per le armi atomiche, e per alcuni gioielli della corona come i missili ipersonici che, ora scopriamo, non possiedono solo i russi nonostante gli squilli di tromba del regime di Putin almeno dal 2018, bensì anche la Cina e gli Usa.

Conclusione? La Russia “ha voluto fare l’Urss” senza averne i mezzi, e solo a vantaggio di un regime che ha riportato l’uomo russo quasi ai livelli dell'”uomo sovietico” pre Eltsin sotto alcuni aspetti; aspetti su cui Putin ha potuto soffiare prima con la propaganda  di un paese in tensione permanente per sua volontà, e poi con quella di un paese in guerra con Kiev. Putin ha impoverito de facto la Russia non permettendole di crescere a causa di un regime avido e corrotto, e di questo ha pagato le conseguenze anche l’esercito. 

Putin, ripeto, non doveva diventare il nemico ideologico dell’Occidente una volta crollato il sistema marxista-leninista, e invece l’ha fatto per tornaconto, utilizzando altri strumenti di mantenimento del potere rispetto al comunismo, ossia un becero e pericolosissimo nazionalismo recuperato dagli scantinati della storia: l’importante, insomma, era ed è che una contrapposizione con l’Occidente permanesse e permanga, ma la rapacità che sta a monte della sua decisione è quella che gli impedisce di far svolgere alla Russia la funzione che, secondo Quirico, può ricoprire legittimamente, ossia quella di super potenza militare, essendo tutte le risorse al servizio del regime, e non certo dell’esercito o di altri soggetti importanti del paese. 

Punto quinto e conclusione

Ed insomma, l’unica forza grazie a cui la povera Russia (povera sotto Putin se non ci fossero gli idrocarburi a prezzi altissimi) spicca è quella nucleare. E alle sue continue difficoltà sul campo ucraino con le forze convenzionali (da super potenza militare mancata) si devono le sue continue minacce di utilizzo dell’arma nucleare. 

Il responsabile della mancata vera rinascita economica e militare della Russia, Putin, sa il fatto suo, sa, cioè, che solo la forza nucleare lo salva dalla disfatta. 

Come diceva Orsini, Putin in caso di difficoltà insuperabili può sempre risolvere la questione con l’atomica, sebbene gli scenari successivi siano insondabili anche per un tipo sicuro del fatto suo come il capo del Cremlino; per tale motivo non faccio mia la conclusione “francescana” di Orsini: usare l’atomica contro gli ucraini avrebbe troppe ripercussioni esterne ma anche interne, a partire da un tracollo dell’economia determinato dall’immediata e aspra reazione del mondo intero; quello dell’attacco atomico è solo un’ipotesi sul tavolo, insomma, non una certezza, ed è quindi troppo presto per chiedere agli ucraini di deporre le armi (infatti tanto è grave il rischio di un attacco atomico russo circoscritto, perché di questo si sta parlando, tanto lo è l’idea di una resa improvvisa di Kiev a Mosca). Pretendendo ciò Orsini razionalizza troppo la realtà futura, da intellettuale qual è, e mostra un innamoramento eccessivo al mondo delle congetture, ossia delle idee: facendo così, però, introduce uno spirito disfattista difficile da digerire. Per non parlare poi di cosa accadrebbe con una vittoria piena della Russia dovuta ad una resa di Kiev, e con un Putin col vento in poppa incattivito dalle reazioni occidentali, anche personali, nei suoi confronti (comprese quelle italiane). 

Io aspetterei ancora un po’, insomma, a chiedere a Kiev di accettare la resa, sempre che gli ucraini siano d’accordo a continuare a combattere voglio dire, ma su questo mi pare che non ci siano dubbi, soprattutto se ci riferiamo a quelli della parte occidentale del paese, che nella stragrande maggioranza hanno sempre avuto le idee ben chiare su Putin. Aspetterei di vedere, se una vittoria ucraina è davvero impensabile, se si possa lavorare per una vittoria zoppa, una non vittoria, della Russia. 

La forza nucleare salva Putin dalla sconfitta anche nel senso che l’atomica è l’unico motivo per cui la Nato non è intervenuta e non ha schiacciato il vecchio esercito russo (vecchio nei mezzi, non nei soldati, come dirò subito), che è tra l’altro davvero agguerrito solo in alcuni dei suoi reparti migliori e, immagino, pagati. Troppi soldatini di leva, infatti, sono stati mandati al macello, 18enni con tutta la vita davanti morti per le mire di un uomo vecchio e corrotto, forse malato. E’ giusto questo? E’ giusto che i cadaveri di questi ragazzini vengano mandati a vagonate in Bielorussia per non suscitare lo sconcerto dei russi, per quanto intontiti dalla propaganda e dall’orgoglio nazionalista?  E’ giusto che i soldatini uccisi siano così tanti da non poter essere accolti, se non in piccola parte, sia negli obitori che nei crematori di un paese straniero? Lo sanno le madri di questi soldati che molti dei loro figli sono stati ammazzati e abbandonati sul terreno alla mercé dei corvi e dei ratti? Ai tempi di Eltsin, durante la guerra cecena, molte donne si andavano a riprendere i propri ragazzi al fronte. Con Putin non è possibile. 

Ed insomma, continuare a esaltare l’esercito di Putin come fa Quirico (e come faceva sino a qualche tempo fa Orsini) significa da un lato non conoscere la reale situazione militare russa (che certo non si può misurare dallo scontro con l’Isis in Siria), dall’altro significa non conoscere la corruzione che ha reso l’esercito russo indegno della fama che gode (o godeva sino a qualche settimana fa), quella corruzione, cioè, che sta alla base di tutto il regime di Putin, e che nulla ha a che spartire con una trasparente politica nazionale nell’interesse del popolo russo, vittima purtroppo della propaganda.

Una propaganda che ha trovato terreno fertile – sia chiaro – nella mentalità da “uomo sovietico”, da “servo della gleba” come direbbe il dissidente Nemtsov, del cittadino russo medio. 

Putin se l’è trovata pronta tra le mani, e l’ha usata più che volentieri, cinicamente, al contrario di Eltsin che ha cercato dii contrastarla, e questo per spostare indietro le lancette della storia dopo il breve periodo democratico del suo predecessore, l’unico liberale della Russia moderna, che però ha avuto il grande, grandissimo demerito, a parte l’appropriazione indebita di denaro pubblico voglio dire,  di indicare nel macellaio di San Pietroburgo, che all’epoca ovviamente sembrava più presentabile, il proprio successore. 

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