Putin ed i suoi “utili idioti” (in Russia e in Italia)

In questo pezzo mi sforzerò di porre alcuni paletti concettuali rispetto alla guerra in corso.

In tal modo, proverò a togliere il maggior numero di argomenti agli “utili idioti” che, anche in Occidente, sostengono le posizioni del Moloch-Putin. 

Perché Putin questo è, un Moloch a cui vanno sacrificate vite umane. Purtroppo, lo sta dimostrando ogni giorno di più.

Di seguito la mia posizione per punti:

1) Coloro che anche in Occidente sostengono Putin, lo fanno, al di là di un becero anti americanismo, perché sono figli di una certa “cultura”. Una cultura con più facce.

2) La prima di tale facce è quella per cui è normale che lo Stato esista, e che possa pretendere la morte dei propri cittadini. In realtà, nessuno parla con lo Stato, nessuno l’ha mai visto in faccia. Lo Stato non esiste. Solo gli uomini vivono, amano, piangono, sperano, odiano. La patria è un ideale, ma alla fine nasce storicamente per esclusione, per escludere cioè di rimanere servi di qualcun altro. Non per diventare una prigione, o addirittura la pira sacrificale per molti dei suoi cittadini. 

3) La retorica della patria serve a chi, anche in democrazia, vuole esercitare un certo controllo sui popoli. Magari li vuole tenere sotto il tacco al punto da promettere mare e monti nel futuro, e intanto in nome della patria li incatena. Ovviamente, c’è modo e modo di incatenare, e un simile discorso è vero soprattutto per le tirannie, per via della variazione nel grado di ogni riflessione. Chi afferma che dittatura e democrazia pari sono dice, naturalmente, una grave sciocchezza. Il dittatore fa credere ai propri connazionali che la patria sia una cosa buona per definizione: se poi loro non stanno bene, non possono dare la colpa al paese che li ha fatti nascere, ma ad un fantomatico Nemico interno o esterno. E’ quello che è successo in Russia. Se si sentono le interviste raccolte per strada da un giovane liberale del posto, i suoi connazionali spesso parlano di madrepatria da salvare (…). Ed insomma, ripetono esattamente quanto il regime vuole che dicano. Da sempre, il Cremlino desidera che credano in un ideale supremo, diverso dalla libertà, per il quale valga la pena immolarsi. In questo modo, il regime non ha più la responsabilità per la guerra. Infatti, è la Russia stessa che parla, che chiede di venir protetta, sebbene non si capisca bene da che cosa. Ed è la Russia che uccide. Come alcuni sapranno, c’è addirittura una grande statua in Russia, a Volgograd,  intitolata “La madrepatria chiama!” 

4) Eppure si tratta proprio di questo, di un tentativo di estraniamento collettivo, di instillare, cioè, nelle genti la credenza che sia normale morire per qualcosa che non esiste. Che cosa è la patria? Un gruppo di persone, con tutto quello che ne segue. Se si guardassero bene negli occhi, tali persone riconoscerebbero se stesse, e il proprio desiderio di vivere, non di morire. Tanto più se lo si deve fare in  nome di non meglio precisati pericoli per la propria sicurezza. Se poi dei pericoli compariranno, ebbene, li si affronteranno a tempo debito. Così, almeno, ragiona la gente normale; ma il punto è che chi è al potere, soprattutto nelle dittature, normale non è. Non può esserlo. E’ solo la gente comune a non mostrare alcuna voglia di morire prima di venir attaccata. In genere, essa si muove in modo molto cauto. Se accetta la morte è perché non esiste una via d’uscita. Senza la propaganda, gli uomini preferiscono confrontarsi, e capire quale sia la reale posta in gioco, prima di accettare di sacrificare la vita.

5) Ma è esattamente questo che la retorica della madrepatria vuole evitare. Vuole evitare cioè che a decidere non sia “la madrepatria che chiama”, bensì la gente in carne ed ossa guidata dal buon senso, e dallo spirito di autoconservazione. Tutto il contrario di quanto pensa un gentiluomo come Putin. Infatti, vuoi mettere – pensa lui – una bella idea con la “i” maiuscola a cui immolare tanti esseri umani in carne ed ossa come è spesso successo nella storia? Così ragionano molti tiranni, è questo il loro sogno. Essere un Moloch a cui sia normale sacrificare. Inoltre, sognano che la realtà fittizia in cui vivono prevalga su quella “reale”, dove appunto dovrebbero fare i conti con la… realtà. Purtroppo per loro, la realtà è un tribunale piuttosto severo per i tiranni. Mentre i dittatori sono abituati a muoversi tra le proprie certezze, e tra le proprie idee, anche se sono assassine come le “ideiti” di cui aveva parlato Robert Conquest. Ma alla fine, ripeto, la Russia intesa come realtà superiore non esiste. Certo, sembrerebbe a molti un’idea che, alla maniera platonica, vive in uno spazio tutto suo: più perfetto, e quindi più reale del nostro. Non è un caso che Platone, il teorico del “Mondo delle idee”, sia il padre di un pensiero politico tirannico. Nessuna Russia ha chiamato al telefono Putin per dirgli di massacrare centinaia di migliaia di persone, a partire dai suoi concittadini. Chi ha voluto tutto questo ha un nome e un cognome precisi, Vladimir Vladimirovic Putin. Che, al colmo della sua megalomania, e del suo distacco dalla realtà, per difendere i propri disastrosi interessi, direbbe semplicemente, parafrasando Luigi XIV: “Che volete da me? La Russia sono io!”

6) Questa storia dello Stato che supera gli individui è una idea sostenuta in tempi moderni anche da Hegel, che aveva dietro lo stato prussiano, e cioè non esattamente una democrazia liberale. C’è addirittura chi dice che, senza lo Stato prussiano alle spalle, Hegel non sarebbe mai diventato il maggior filosofo tedesco della sua epoca (Schopenhauer docet). Fatto sta che solo gli illiberali pensano lo Stato come fa Hegel. E la società che è pronta a uccidere per difendere una posizione del genere mostra la propria inadeguatezza. 

7) Si potrebbe aggiungere, naturalmente, che se la patria è un concetto difficile da sostenere al prezzo della vita, questo vale sia per i russi che per gli ucraini. Come si è detto, nessuno può costringere un russo a immolarsi per la patria. Eppure, de facto, è quello che sta succedendo nonostante la Russia non sia stata attaccata. E tale premessa, dal mio punto di vista, è tanto più vera se si pensa che neppure Kiev, che pure è stata aggredita brutalmente dal Cremlino, può costringere i suoi abitanti a sacrificare la vita per la difesa del paese. Ovviamente, gli ucraini al potere hanno una colpa inferiore a pretenderlo, muovendosi in una logica di difesa, ma comunque anche loro seguono una ideologia, quella della necessità di immolarsi per la patria, che, onestamente, non è la mia. Detto questo, chi afferma, come me, che non valga la pena morire per la patria non deve usare tale argomento per sostenere che è l’Ucraina che deve arrendersi. Anzi, è vero esattamente il contrario. E’ il soldato russo che deve prendere coscienza che non vale la pena rischiare la vita, o una grave mutilazione, per una patria che non solo lo manda allo sbaraglio, ma che, per di più, non è mai stata neppure in pericolo. E’ lui che, in primis, si dovrebbe chiedere a che pro obbedire ad uno Stato che lo mette in condizioni del genere. E il fatto che gli ucraini, combattendo, lo pongano di fronte a tale dilemma ogni giorno che passa, è secondo me un vantaggio non solo per Kiev, ma anche per la Russia, se i soldati, una volta tornati dal campo di battaglia (quei pochi che ci riescono), iniziano a fare ai connazionali rimasti in patria le stesse domande che si sono posti in trincea. La resistenza ucraina può insomma risultare utile sia al popolo di Zelensky che alla Russia democratica. 

8) Il punto è che la nascita dello Stato moderno, probabilmente, ha portato con sé una serie di problemi terribili. Ad esempio, lo scontro etnico, quello razziale e quello religioso. Il concetto di patria, se vogliamo, è il male minore, quando non venga usato come un martello. L’idea della madrepatria, del resto, non è altro che una variante dell’ideale religioso che, a sua volta, nei secoli, ha portato spesso morte e distruzione. Ovviamente, non c’è scritto da nessuna parte che “amare la nazione” debba condurre a simili eccessi, ma questo è più vero in un contesto di liberaldemocrazia. Infatti, in un paese tirannico tale ideale-sentimento fa presto a degenerare in qualcosa di peggio, come l’aggressione russa sta mostrando ampiamente.

La cosa migliore, forse, sarebbe quella di liberarsi dell’armamentario ideologico che sostiene un’entità astratta come la “nazione” , un fatto innaturale che comporta per definizione dei rischi, quale che sia la loro gravità. In tal senso, c’è chi sostiene che non solo bisogna epurare il linguaggio politico da termini come “patria”, ma anche da quelli che toccano le persone in carne ed ossa, e che li caricano di aspetti che, in realtà, li idealizzano, facendoli sembrare qualcosa che non sono. Dei leader, ad esempio. Concetto buono per epoche in cui esisteva il capo tribù, naturalmente, ma che dovrebbe essere abbandonato in una moderna ed evoluta liberaldemocrazia.

9) La questione della madrepatria-fantasma per la quale bisogna morire si può collegare al discorso di chi debba perire per essa. Da sempre, infatti, sono i giovani a farlo per primi. Se si ascoltano le interviste fatte per strada ai russi dal suddetto giornalista liberale, si ha l’impressione che l’adesione alla guerra cambi a seconda di A) differenze individuali difficilmente incasellabili, ma anche B) dell’istruzione, e, soprattutto, C) dell’età, perché essere nati in piena Unione Sovietica esclude in moltissimi casi il possesso di una cultura liberale articolata, e comunque consapevole. Ebbene, che diritto ha lo Stato, o peggio ancora la “patria”, ossia un’entità immanente, ma in realtà inesistente, che offre un alibi a chi, in carne ed ossa, decide davvero; che diritto ha, dicevo, tale realtà suprema, che, in realtà, è una persona in carne ed ossa, ossia, de facto, il Moloch-Putin, che, per molti suoi sostenitori, non può essere giudicato, né toccato, in quanto – ohibò- incarna lo Stato; che diritto ha, insomma, questo tiranno sfacciato e sanguinario di mandare al macello ragazzi di venti o trent’anni? C’è voluta tutta la violenza dell’ideologia prima hegeliana e poi marxista per fare scempio di tanti giovani corpi. Del resto, se la maggioranza dei russi è imbevuta di cultura illiberale, e le piace credere alla propaganda televisiva del Cremlino, non stupisce una strage del genere. Ed insomma, il Moloch vero, di cui Putin è solo il rappresentante più visibile, è alla fine proprio lui, il popolo della Federazione. Spiace dirlo, ma sembrerebbe proprio così. 

10) E invece bisognerebbe dire ai giovani russi di ribellarsi, di non trovare normale che gli ultracinquantenni (per non dire ultrasettantenni) si permettano di combattere una guerra con la loro pelle. Chi vuole la guerra, se la combatta! E questo vale anche per il signor Putin, che ben lontano dall’incarnare forze che sovrastano gli individui, è un soggetto come un altro, capace, però, di distruggere quel poco di democrazia lasciato da Eltsin, contando sull’analfabetismo liberale della gran parte della popolazione russa. Una strategia ben pensata nella sua mente da ex Kgb, che ha condotto prima al crollo della democrazia, e poi all’odierno disastro militare. Decine di migliaia di ragazzi russi e ucraini massacrati per nulla! Se l’umanità non fosse drogata dall’ideologia della “ragion di Stato”, e della sua leggendaria imperscrutabilità, riuscirebbe a valutare sino in fondo una strage senza senso di ragazzi. Tra loro, molti atleti professionisti, ma, si sa, nelle guerre c’è sempre una inutile ecatombe di validi corpi, e pure – occorre sottolineare – di validi cervelli. Pescando nel passato, basti ricordare tutti i giovani geni britannici che sono caduti combattendo nella Prima Guerra Mondiale. Tra i giovani che combattono oggi in Ucraina, rimane indelebile nella mia mente il primo ballerino del teatro di Kiev, un adone che dopo anni di studi, e di fatica fisica e mentale, è morto al fronte sotto le bombe del cekista Putin nei primi giorni di guerra. E’ un mondo ben strano quello in cui un vecchio, banale signore, pur responsabile di un conflitto inutile, oltreché della debolezza del suo paese (perché il primo nemico della Russia è Putin, non bisogna mai dimenticarlo), non solo continui a godersi la vita di palazzo, ma sia considerato da molti un grande statista. Mentre nessuno si ricorda di un giovane onesto, e biologicamente superiore come appunto il primo ballerino di Kiev, vittima della pazzia collettiva, che ha condotto alla sua morte. Pazzia collettiva che, naturalmente, è stata sfruttata sino in fondo dal vecchio tiranno. Lui, sì, che meriterebbe di morire sotto le bombe. E, onestamente, meriterebbe anche di peggio. Una fine alla Gheddafi, per intenderci, da cui, ovviamente, lui è terrorizzato. Ci sono ragazzi morti nella guerra in corso che erano così giovani da chiamare la mamma prima di saltare in aria, mentre un vecchio assetato di potere, di denaro e di agi come Putin non solo trova normale continuare a fare la  solita bella vita sulla loro pelle, come dicevo, ma trastullarsi sui modi sempre nuovi per prevenire attentati alla sua sacra persona. Obiettivamente, io trovo una situazione del genere semplicemente oscena. Oscena. Punto. In effetti, odiare Putin è sin troppo facile, per chi abbia conservato un po’ di sano buon senso. Il problema sono quelli che in Russia, e risultano tanti purtroppo, continuano a difendere un terrorista del genere. Personalmente, ho sempre pensato che i sostenitori dei tiranni non costituiscano un problema solo per se stessi, ma anche per gli altri: per i liberali dei loro paesi (e, in tal senso, nutro un immenso rispetto per gli eroici russi che resistono a Putin), ma anche per gli abitanti del resto del mondo, perché i dittatori hanno bisogno di fare le guerre. Come giustamente sottolineano gli ucraini, i russi che sostengono Putin sono solo e semplicemente dei fascisti. In questo momento, quindi, esiste un’asimmetria non solo tra lo stragista Putin e Zelensky, ma tra gli ucraini e molti, troppi, russi-fascisti.

11) Per quanto riguarda poi la questione morale, vorrei rassicurare i grandi esperti ed ex conduttori tv nostrani che non riescono a capire la differenza tra la Russia e l’Occidente. Mi permettano la seguente, semplice spiegazione. La differenza è molto banale. Innanzitutto, in Occidente non ci sono persone migliori o peggiori che in Oriente. Semplicemente, come direbbe Popper, l’Occidente cerca di far commettere meno disastri possibili ai suoi “cattivi soggetti” che stanno al potere; e, soprattutto, cerca di garantire il ricambio al vertice. Infatti, è questo che conta: non il consenso del popolo, ma, come dice Popper, il giudizio del popolo, ossia la possibilità di poter dissentire dalla maggioranza e di preparare un ricambio politico “senza spargimento di sangue”. Viceversa, ci sarebbe una dittatura della maggioranza. Che poi ci sia sempre una tale dittatura, sia in Occidente che in Oriente, non solo per questioni politiche, ma anche religiose, etiche, etc, è chiaro, ma ogni discorso, ripeto, deve tener conto della variazione nel grado per risultare serio. Ad esempio, un conto è non poter girare nudo per strada, un conto è non poter esprimere il proprio giudizio negativo sull’operato del premier in carica. Che piaccia o no, oggi in Italia uno può criticare la premier Meloni pubblicamente: in Russia, anche prima della guerra, nessuno poteva criticare senza rischi il signor Putin. Forse alla maggioranza poco interessa coltivare (perché prima occorre coltivarle) ed esprimere idee personali, poco importa una libertà del genere. Ma agli intellettuali, o presunti tali, dovrebbe interessare eccome, anche a quelli come Orsini e Santoro. Il punto è che tali soggetti, che pontificano a reti unificate, non riescono a conferire il giusto valore alla libertà di parola,  per cui continuano a dire: “So che l’Occidente è più libero della Russia, però…”. Come direbbe il professor Parsi in un contesto leggermente diverso, la congiunzione giusta, in realtà, non dovrebbe essere “però”, ma “quindi”: “So che l’Occidente è più libero della Russia, quindi…”. E invece no, continuano il loro discorso contraddittorio in termini. Nell’uso dei termini più semplici. 

12) In Russia, un mediocre come Putin governa da oltre 20 anni. Non è ammessa un’opposizione degna di tale nome, e tantomeno un ricambio al potere. Bingo, il capolavoro antidemocratico è riuscito perfettamente! Piccole cose, diciamo così, che però – lo sappiano gli Orsini, i Santoro e i seguaci vari -, fanno la differenza. Non rendendosene conto, dimostrano una volta di più come sia facile – e pericoloso – abituarsi alla libertà. Orsini ci ha informato di essersi abbeverato alle fonti “prestigiose”, come dice lui, dell’accademia americana. Peccato che essa sia il luogo dove ancora domina l’influenza di un certo Chomsky, un grande intellettuale di estrema sinistra che è sempre andato di spadone, non di fioretto, nelle questioni di politica internazionale in chiave antistatunitense. Ma è Noam Chomsky, gli si possono perdonare molte cose; ai suoi mille imitatori, però, no. Del resto, nessuno ha mai detto che i governi occidentali siano, e siano stati, formati da santi, né che abbiano ottenuto tutti quello che avrebbero meritato: ad esempio, Bush junior l’incriminazione, insieme con Rumsfeld e Cheney, se non l’arresto. Ma intanto, Bush, al contrario di Putin, ad un certo punto si è dovuto togliere di mezzo. Del resto, la sua politica interna era di certo migliore di quella di Putin, fondata com’è, quest’ultima, soltanto sul malaffare e sulla corruzione. Infine,  Bush junior non è ben visto da molti nell’Occidente stesso, e sembrerebbe che non possa neppure lasciare in sicurezza il paese, stando ai servizi segreti Usa. Infatti, potrebbe rischiare l’arresto per i fatti iracheni. Da parte sua, Trump, che ha mostrato un grande disprezzo per il ricambio democratico, ritiene che il consenso popolare lo purifichi da ogni peccato. In realtà, come si diceva, non lo farebbe neppure se esso coincidesse con la maggioranza degli americani, ed anzi soprattutto in tal caso direi. La democrazia, ripeto, non è fondata sul consenso della maggioranza, ma sul rispetto per la minoranza (nera, straniera, gay, gitana, etc). Proprio nel momento in cui Putin e la Russia stanno mostrando la propria inadeguatezza militare, morale, culturale, etc, l’America sta provando a perseguire un ex presidente che non sembrava scomporsi di fronte a scene di sangue pur di evitare un cambio al vertice stabilito in modo democratico. Zero a uno per l’America, direi. 

Altro che affermare, come fa il pasionario Orsini, che occidentali e russi “fanno schifo” allo stesso modo. Infatti, non direi una sciocchezza del genere neppure in politica estera, figurarsi in politica interna. Il punto vero è che Orsini è un docente di sociologia del terrorismo, sulla quale ha scritto articoli la cui validità non conosco, ma non è un politologo, né un esperto di guerra convenzionale. Vuol parlare della guerra in Ucraina il signor Orsini? Bene, si accomodi, ma lo faccia partendo dalle sue competenze, che riguardano appunto il terrorismo. Eppure non lo fa, dato che non si occupa né di Putin né dei selvaggi che, sotto il suo comando, si comportano come i signori dell’Isis. Peccato per Orsini, che perde ogni volta occasione di parlare delle uniche cose per le quali avrebbe titolo. 

In conclusione, anche solo per tali motivi c’è una grande differenza tra democrazia e tirannia. Inoltre, non è vero che una democrazia senza eguaglianza economica sia una dittatura mascherata, come vorrebbe una certa cultura filomarxista citata da Popper. Del resto, se si desidera contrapporre il binomio capitalista ricchezza-povertà a quello marxista libertà-illibertà, basti aggiungere questo: che se nelle democrazie gli sfruttati non possono mai mancare, purtroppo, è anche vero che non c’è scritto da nessuna parte che debbano essere sempre gli stessi. Una conquista chiara, questa, almeno dalla seconda metà del Novecento. Il riscatto sociale esiste, come opzione individuale, almeno nelle democrazie più avanzate. In maniera simmetrica, le tirannie forse permettono ai propri cittadini di diventare liberi, se ci provano con tutte le proprie forze? Non mi pare. Anzi, più ci provano e più rischiano di essere liberi sempre meno, pronti per il gulag. Riprendendo il primo termine di paragone dell’attuale discorso, è come se il sistema capitalista impedisse a chi volesse stare meglio economicamente di non riuscirci, e lo facesse tanto più quanto più il soggetto cercasse di liberarsi della propria povertà. Si tratta di una asimmetria che, da sola, è in grado di far scegliere il meno peggio, diciamo così, ossia il sistema capitalista in un contesto liberaldemocratico. Del resto, come si diceva prima, è sempre una questione di variazione nel grado. Spero che anche gli Orsini e i Santoro vari lo riescano a capire, prima o poi. 

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