
Io ho vissuto in Zambia tra il 2005 e il 2006 e lì ho visto nascere attriti tra vari governi occidentali e quello di Lusaka quando qualche omosessuale veniva arrestato nel paese.
Tale Governo, infatti, se ne infischiava di toccare un tasto delicato, e di riaprire una vecchia questione di diverbio tra Europa e Zambia, anche se nel frattempo il quadro si era complicato con l’arrivo del potente Sudafrica nel gruppo delle nazioni più aperte ai diritti dei gay.
Gli zambiani erano gelosi delle proprie leggi. Volevano che fossero rispettate anche quando erano sbagliate. Gli europei potevano strillare quanto volevano, l’omosessualità non costituiva un costume africano. Era stata importata dagli occidentali, cioè da chi aveva tolto loro la dignità.
Non era difficile capire come le due cose, omosessualità e mancanza di dignità, venissero concepite dagli africani come elementi di uno stesso nefando disegno di dominio politico-culturale. In effetti il successo degli europei non fu alla lunga sul piano militare, fu una vittoria sul piano psicologico: fu ottenuta quando agli africani vennero strappate le terre degli avi con le baionette e fornite catene fisiche che piano piano divennero spirituali, quando cioè ad essi venne tolta la voglia di essere fieri di appartenere ad una ben precisa comunità africana, di cui non si sentivano più parte.
Col tempo, i bianchi avevano accettato di ritirarsi dall’Africa, ma solo da un punto di vista fisico, non psicologico (e, a dire il vero, neppure economico e finanziario). Non avevano interesse a perdere la propria presa sulla mente dei locali; secoli di schiavitù avevano creato un panorama psichico favorevole, i bianchi ci tenevano a venir considerati al vertice della piramide sociale dei paesi africani, e non si sentivano di dover cedere il passo agli indiani, ai libanesi o agli iraniani anche se guadagnavano meno di loro; i soldi non erano tutto: venivano usati come parametro solo quando conveniva agli occidentali. Se questa era la situazione come biasimare gli africani a caccia di un riscatto sul piano che contava?
Il piano che contava, ossia quello spirituale; ovviamente la voglia di riscatto era sacrosanta, ma correva il rischio di essere espressa nella maniera sbagliata, dato che alcuni personaggi locali potevano sfruttarla a proprio vantaggio. Gli integralisti religiosi ad esempio. A caccia di consenso facile, essi non andavano troppo per il sottile. Volevano far sentire gli africani emancipati. Emancipati dalla cultura occidentale. Operazione difficile da attuare, il mondo intero sapeva, e sa, di doversi definire in gran parte occidentalizzato. Guai a toccare i prodotti materiali dell’Occidente. Guai a toccare le automobili ad esempio, dato che ogni zambiano sognava di averne una anche di terza mano. L’emancipazione doveva riguardare altri aspetti. Non era difficile individuare i prodotti occidentali giusti, quelli da dare in pasto al disprezzo popolare, e l’omosessualità era uno di questi, anche se era difficile credere alla sua origine europea tout court. All’opinione pubblica africana piaceva crederlo però, e questo bastava.
E così il disprezzo zambiano per l’omosessualità aiutava la gente a credersi emancipata dai modelli occidentali, col risultato di applicare essa proprio quelli contro cui sentiva di doversi ribellare. Quelli che calpestavano la libertà e la dignità altrui. Agli integralisti politici e religiosi africani artefici di tale pericoloso paradosso andava la riconoscenza della gente confusa. Essa continuava a seguire la cultura occidentale proprio quando pensava di non farlo. E seguiva guarda caso la parte peggiore, quella contro cui sentiva il bisogno di un riscatto psicologico, e non la parte in grado di combatterlo, la parte cioè ispirata alla cultura liberale. Una cultura capace di mettere tutti d’accordo se fosse stata applicata sino in fondo da ognuno. Purtroppo però la critica zambiana all’omosessualità era fondata su valori “africani”. La cultura liberale era rispettata in Zambia, ma solo in parte, più o meno come in Italia alcuni decenni fa. E come in Italia a metterle i bastoni tra le ruote era soprattutto la cultura religiosa dominante, ossia la cultura cristiana importata dall’estero. Agli zambiani piaceva pensare di criticare l’omosessualità in nome della propria cultura, la cultura africana. In realtà non era così. A guidare l’integralismo zambiano era la cultura cristiana. Ossia una cultura di origine non africana. Ma quando si mettono in mezzo le ragioni della propaganda quelle della logica saltano. In ogni parte del mondo ed in ogni epoca.
Poco importava se l’omosessualità fosse un comportamento anche africano e lo strumento concettuale con cui combatterla no. Poco importava se la verità era contraria a quanto sostenuto dagli integralisti. Ad essi non interessava la verità ma il successo della propaganda. Costi quel che costi. Essi erano bigotti e non ritenevano di dover porre una distinzione tra valori africani e valori cristiani a causa della supposta natura universale dei secondi, e non si rendevano conto che era strano appellarsi a tale universalità proprio in questo caso.
Non tutti i valori sono buoni. Di certo non lo sono quelli contro l’omosessualità. Neppure se sono cristiani e vengono da una religione capace di rendere gli africani importanti, figli di Dio come i bianchi, nei cui confronti i primi si prendevano, e si prendono tuttora, una rivincita con le armi religiose ricevute proprio dai secondi; una rivincita sola a metà considerato che la religione cristiana di cui stiamo parlando è da sempre incapace di rivolgersi veramente ai cuori; non ci riuscì ai tempi del colonialismo quando gli europei si guardarono bene dall’applicare la regola dell’amore nei confronti dei popoli di colore, e non ci riesce neppure oggi quando gli zelanti bigotti politici e religiosi africani utilizzano la religione cristiana per imporre regole a tutti e per generare discriminazioni: e sì, perché quanto ho scritto sinora non ha smesso di essere vero a distanza di anni, nel 2020.
Ed è come se gli zambiani volessero imitare gli ex padroni anche nei loro sbagli. Strano. Infatti erano errori le cui conseguenze venivano pagate dagli africani. Essi assomigliano a quei figli che ripetono gli sbagli dei padri. Padri degeneri. Che quanto più sono stati tali tanto più hanno spinto le loro “ex vittime” ad imitarli. Ex… Il punto è che non si possono considerare tali finché subiscono la cattiva influenza del genitore. Non si può quindi parlare di riscatto psicologico nel loro caso. Come farlo, considerato che gli africani sono legati ancora mani e piedi all’educazione ricevuta? Anche a causa della sua natura perversa capace di suscitare fascino su chi invece di riceverla l’ha appunto subita. Purtroppo gli ex colonizzatori continuano ad esercitare la loro influenza tramite i prodotti che sono capaci di creare, tutti quei magnifici prodotti del consumismo moderno per i quali molti, troppi africani vanno matti, e non si accorgono che con il miele essi ingoiano pure il veleno. Una passione che viene da lontano, da quando loro erano schiavi e ammiravano gli oggetti dei bianchi. Tutti. Tutti quanti. Non possono fare a meno di seguire nei loro sogni i modelli imposti dagli occidentali. Immagino che si odino per questo, per il fatto di non potersi sottrarre all’influenza degli europei, per il fatto di subire il fascino di chi li ha trattati come stracci e continua a farlo purtroppo tramite i locali bianchi arroganti con cui si trovano pure oggi gomito a gomito. Infatti non è cambiato molto dai tempi in cui comandavano loro. I contrasti rimangono. I complessi da entrambe le parti pure. E quando gli africani al potere tentano la via del riscatto ripetono spesso gli errori degli ex padroni, i “padri degeneri” di cui essi sono figli.
Figli che sentono appunto il bisogno di imitarli; figli che proprio per tale motivo continuano ad essere vittime di persone da cui credono di essere riusciti ad affrancarsi. Il loro è solo un errore di prospettiva. Come quello del figlio diventato adulto che ritiene di non poter più essere maltrattato dal padre: egli in realtà continua ad esserlo a distanza, quando sente di non riuscire a fare a meno di infliggere ad altri le medesime pene provate da lui stesso. Esattamente quanto avviene nel caso degli omosessuali, attaccando i quali i politici africani permettono in apparenza a se stessi e a chi li sostiene di sentirsi liberi ed emancipati dai modelli occidentali ed invece non fanno altro che affondare sempre più nella propria dipendenza da essi. Dipendenza da chi non la merita.
Anche perché una dipendenza alla lunga non è mai sana: ed infatti Nelson Mandela aveva deciso di combatterla, aveva deciso di non imitare i “padri degeneri” nei loro cattivi comportamenti e di rispettare gli omosessuali e tutti i cosiddetti “diversi”.
Nelson Mandela… Peccato che anche lui sia stato considerato un modello da imitare dagli africani soltanto in certi casi.
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