
Gli Stati Uniti vogliono l’Ucraina nella Nato.
Nel passato scrissi che vendere armi è fondamentale per i grandi paesi perché così possono guadagnare molti soldi e, in seconda battuta, estendere la propria influenza, soprattutto quando tali armi richiedono personale tecnico specializzato che il compratore non possiede, e che quindi fornisce il venditore stesso. Per non parlare poi del punto di vista di chi acquista, del fatto cioè che diventare un alleato di un paese che non solo è grande ma è pure una potenza nucleare come gli Usa o la Russia significa mettersi di fatto sotto la protezione del suo ombrello atomico, ossia di uno scudo invincibile; la qual cosa interessa molto soprattutto dittatori e dittatorelli di ogni parte del mondo, che non a caso piacciono tante alle grandi potenze, non democratiche e non solo (purtroppo), che desiderano estendere facilmente la propria influenza geopolitica puntando sulla loro debolezza, perché questo sono spesso i dittatori: personaggi che conoscono bene la propria fragilità, e la propria debolezza.
Si può dire però anche il contrario, e cioè che far entrare un paese in un’organizzazione strategica e militare come la Nato significa aprirsi un nuovo mercato e, in seconda battuta, estendere la propria influenza politica. Perché se è vero che gli Stati Uniti sono consapevoli che le risorse economiche dell’Ucraina non sono illimitate, sanno pure quanto grande sia il bisogno di quel paese di armarsi, e quanto essi possano influenzare la scelta degli acquisti militari di Kiev, una volta entrati in un’associazione come l’Alleanza atlantica di cui l’Ucraina ha bisogno come l’aria e di cui gli Usa sono i capi indiscussi, tanto è vero che spesso impongono – in una logica di “do ut des” – acquisti militari a paesi-membri ben più ricchi e importanti, compresa l’Italia. A molti infatti sfugge quanto l’apparato industriale-militare sia fondamentale per l’economia americana, legato com’è anche a tutto il settore della ricerca, e dello sviluppo di prodotti pure in ambito civile.
Vista da Washington, l’Ucraina potrebbe diventare un esempio per altri stati, soprattutto quando mostrasse l’efficacia delle armi americane nelle mani di un esercito degnamente addestrato come è quello di Kiev, perché il problema delle armi sofisticate (americane e occidentali in genere) è che per funzionare devono essere ben maneggiate. Ma, quando questo non fosse possibile, si aprirebbe comunque il discorso iniziale, quello per cui uno stato che vende gioielli tecnologici avanzatissimi del settore militare può sempre mandare istruttori ad insegnare come usarli o addirittura personale di stanza permanente, con tutte le conseguenze che questo comporta da un punto di vista d’immagine, politica ed economica. Per fare un esempio, ricordo che spesso gli aerei da combattimento sovietici venduti a paesi del cosiddetto secondo o terzo mondo venivano pilotati da mercenari o addirittura da addestratori dell’Urss (un MIG21 siriano che fosse caduto al primo colpo di un Kfir israeliano non avrebbe fatto bene all’industria militare sovietica).
Dico questo per inquadrare al meglio la scelta di Washington di non accettare diktat russi rispetto alla possibilità di Kiev di entrare nella Nato, con tutti i rischi che questo può comportare. Al di là del fatto che l’Ucraina può, pericolosamente, diventare un esempio anche dal punto di vista di Mosca, nel senso che una volta che si accettassero come legittime le rivendicazioni dei russofili che vogliono l’indipendenza delle regioni al confine con la “madrepatria” – chiamiamola così- , allora si potrebbero alla stessa maniera accettare quelle di gruppi analoghi presenti in altri paesi dell’ex Urss. Ciò in vista di un continuo inseguimento di occasioni per esprimere una grande politica di potenza che farebbe molto comodo a Putin e alla sua immagine, considerata la sua attuale difficoltà a nascondere e soffocare il malcontento interno, in crescita esponenziale soprattutto tra le nuove generazioni a causa della mediocrità della sua politica economica; e questo a prescindere dalle tante e inutilissime chiacchiere da vecchio saggio del presidente russo sul destino dell’Europa in blasonatissimi congressi internazionali di fronte a platee di occidentali rapite dall’eloquio di Putin (probabilmente perché male informate rispetto alla sua doppiezza, alla sua incapacità e alla sua ipocrisia).
Ed insomma, lo “zar” è solo questo, un ottimo comunicatore – anzi “u chiacchjiarùni”, come lo definirebbero i miei amici meridionali -, ossia uno bravissimo a dire cose, ma non a farle, e a dirle al momento giusto: l’ultima è che durante il disfacimento dell’Urss esistevano forze occidentali impegnate a disgregare il paese, a spaccarlo in piccolissime parti con risultati imprevedibili, se ci fossero riuscite.Fortuna che gli occidentali cattivi abbiano fallito in un’operazione che avrebbe reso l’ex Unione sovietica una polveriera cento o mille volte peggiore dei Balcani. Fortuna, insomma, che c’è stata gente come Putin che ha impedito l’armageddon. Se non è grande comunicazione, questa!
Ma torniamo ancora per un attimo alla questione delle nuove generazioni in rivolta in Russia.Ebbene, sono quelle stesse che fanno paura anche a Pechino, e che vengono blandite con la promessa di carriere e soldi facili in un mercato in cui il comunismo (ormai solo) di facciata viene presentato come un altro aspetto buono del sistema nel suo insieme, al di là delle contraddizioni apparenti, ossia come la garanzia che tale crescita economica vorticosa non generi troppe ingiustizie sociali: sottacendo così che dalla sopravvivenza del comunismo cinese sbandierato a vanvera dipende mani e piedi la sopravvivenza
politica ed economica dell’elite, dei cosiddetti mandarini, il cui potere rimane in tal modo concreto, concretissimo – quanto poi alla capacità di tale sistema di accrescere e di usare la ricchezza per tutti, ebbene, si tratta naturalmente di sciocchezze: la Cina oggi fa uscire dalla povertà assoluta molti, sì, ma lasciando loro solo le briciole, ed è più spietata degli Usa a livello di redistribuzione della ricchezza, nel senso che la ridistribuisce malissimo -.
Come si vede, quello ucraino, e più in generale internazionale, è attualmente uno scenario complesso e in continuo movimento, dove alla fine considerazioni di tipo economico, e di potere personale, valgono almeno quanto quelle politiche, ed escludono, o riducono in modo drastico, questioni di tipo valoriale, da qualunque parte le si vogliano guardare.
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